Davi Pontes e Wallace Ferreira in Repertório © Matheus Freitas

Una edizione, che si svolgerà dal 5 al 14 luglio 2024, diretta per il terzo anno di seguito dal curatore, drammaturgo e critico polacco Tomasz Kireńczuk, che invita a immaginare nuove prospettive di coesistenza: rave, cerimonie funebri e pratiche decoloniali sono alcune delle ritualità mediate dallo sguardo di artiste e artisti significativi per la scena performativa italiana e internazionale e di tante voci emergenti.

Mentre siamo qui ci sono circa 180 conflitti armati in corso. Mentre siamo qui una persona su sei vive in un’area di conflitto attivo. Mentre siamo qui in molti paesi del mondo l'aborto è vietato e l’omosessualità è punita con la morte. Mentre siamo qui i rifugiati muoiono in mare, sulle montagne e nei boschi. Mentre siamo qui l'economia predatrice continua a speculare sull’ambiente e sui paesi più poveri, aumentando il divario economico della popolazione.

while we are here riflette su un mondo sempre più diviso e in conflitto, provando a immaginare pratiche in cui la differenza venga sostenuta ed esaltata. while we are here vuole cercare nuove forme di coesistenza in cui i corpi – nella loro diversità e individualità – possano relazionarsi e convivere.

“Riti funebri, rave, pratiche decoloniali, in ognuna di queste prassi compaiono corpi che, nell'atto performativo, creano uno spazio comune. Ed è proprio questa esperienza che ci interessa in modo particolare” – afferma Tomasz Kireńczuk. “Vogliamo che anche quest'anno il Festival sia un luogo di incontro e scambio. Vogliamo che la sua forza rigenerativa ci permetta ancora una volta di guardare diversamente non solo alla realtà che ci circonda, ma anche ai corpi e agli spazi che sono, o non sono, intorno a noi. Siamo convinte e convinti che questo essere insieme, che sfugge alla logica della vita quotidiana, abbia un enorme potenziale. Vogliamo chiederci cosa ci succede mentre siamo qui.”

Il programma del Festival è vario nella forma e nelle proposte; diventa occasione per presentare al pubblico locale e internazionale i lavori di artiste e artisti per la prima volta in Italia. È dominato da proposte interdisciplinari e opere che utilizzano strumenti del teatro, della danza, dell'installazione e dell'intervento artistico. Ciò che le accomuna è l’interesse per le relazioni che nascono al confine tra arti performative e cambiamenti sociali, sottolineando il sovrapporsi dei piani temporali e spaziali: le iconografie del passato rimbalzano nel presente.

Dalila Belaza, coreografa francese di origini algerine, indaga il dialogo tra danze rituali e astrazione; con Rive, in programma al Teatro Amintore Galli di Rimini (14 luglio) per la prima volta in Italia, inventa un cerimoniale in grado di unire mondi e luoghi lontani: il grande ensemble, di 7 performer, sul palco dà vita a un unico corpo sinfonico che mostra l’umanità come un paesaggio vivente. 

La danza, il rito, il rave sono al centro dello spettacolo da cui si sviluppa anche il claim che incornicia le proposte di questa edizione, capace di attraversarle e raccoglierle in un racconto uniforme: While we are here dell’artista belga Lisa Vereertbrugghen (6 e 7 luglio). Un lavoro per cinque performer su rave culture e techno-folk, su come entrambe queste forme di danza attingano a un desiderio umano di intimità collettiva e perdita di controllo: il risultato è una performance ibrida che celebra la fisicità.

Viviamo assuefatti dal terrore: questo è l’assunto della coreografa brasiliana, residente a Berlino, Michelle Moura, già a Santarcangelo nel 2018. Lessons for Cadavers (5 e 6 luglio) utilizza un linguaggio iperbolico e un’espressività portata all’eccesso per raffigurare un regno magico e grottesco abitato da strane forme viventi, al confine tra la vita e la morte.

Lo studio della ritualità è al centro anche del lavoro site-specific di Valentina Medda, artista interdisciplinare la cui pratica si snoda tra immagine e performance; a Santarcangelo con The Last Lamentation (13 luglio) rielabora artisticamente i codici rituali del pianto funebre, per una suggestiva performance per 12 interpreti che si terrà sul greto del torrente Marecchia, usato per la prima volta come scenografia naturale di uno dei lavori presentati al Festival.

Anche Cry Violet, creazione coreografica del duo Panzetti / Ticconi (9 e 10 luglio), indaga sul rito, in questo caso utilizzando un codice gestuale che ritrae espressioni di dolore e vergogna ispirate all’iconografia del peccato originale.

L’analisi delle iconografie del passato è alla base del lavoro di Claudia Castellucci, tra le artiste più riconosciute all’estero nella sperimentazione teatrale italiana e cofondatrice di Socìetas Raffaello Sanzio, nonché Leone d’Argento alla Biennale di Venezia nel 2020. Il tableau vivant Murillo (10 e 11 luglio) raccoglie un’antologia di elemosine sui modi con cui si tende la mano quando si chiede qualcosa, quando al mondo non si ha altro che sé stessi.

L’ispirazione derivata dalla storia dell’arte si ritrova anche nel lavoro di Giovanfrancesco Giannini, Roberta Racis e Fabio Novembrini: Vanitas (6 e 7 luglio). Come già racconta il titolo, lo spettacolo si ispira all’iconografia di nature morte che ci ricordano la caducità della vita terrena, messa qui in relazione con il macro tema della crisi del nostro tempo.

L’arte e l’attivismo politico si incrociano in molti modi nel programma della 54esima edizione di Santarcangelo Festival. La questione ambientale, il decolonialismo, la riflessione sul razzismo e l’antropocentrismo sono temi che nel dibattito mondiale sono sempre più interconnessi tra loro. Un esame critico del mondo viene proposto dai coreografi brasiliani Davi Pontes e Wallace Ferreira, a Santarcangelo Festival con il secondo e il terzo capitolo della trilogia coreografica Repertório (dal 12 al 14 luglio), quest’ultimo presentato per la prima volta in Italia. La danza viene usata dal duo come forma di autodifesa per liberarsi da sovrastutture coloniali, razziali e ciseteropatriarcali, insite nel pensiero occidentale.

Il lavoro di Marvin M’toumo supera le distinzioni tra teatro, danza e moda: Rectum Crocodile (12 e 13 luglio) è un racconto danzato e cantato in cui esseri umani, animali e piante appaiono uno dopo l’altro per testimoniare la violenza del colonialismo. Un appello feroce in cui i fantasmi dell’imperialismo, che ancora infestano i territori dei Caraibi, vengono evocati attraverso una coreografia di gesti, maschere, corpi e voci.

Rébecca Chaillon, regista e performer francese originaria della Martinica, già a Santarcangelo nel 2023, quest'anno è al Festival con un nuovo lavoro realizzato insieme a Sandra Calderan. La sua pratica artistica trae forza dal coinvolgimento nelle attività di collettivi queer e antirazzisti; ne La gouineraie (12 e 13 luglio) decostruisce il mito della famiglia bianca e patriarcale, mostrando la potenza salvifica insita nelle cultura femminista. Rébecca Chaillon porta al Festival anche un secondo lavoro, The Cake (14 luglio): un happening site-specific in cui la performer si trasforma in una torta edibile, lasciandosi idealmente divorare dal pubblico.

La ricerca sugli stereotipi e su come questi influiscano sui corpi e sulla visione del mondo è al centro di Il Mio Filippino: The Tribe, lavoro in prima assoluta di Liryc Dela Cruz (6 e 7 luglio), autore e video-maker originario delle Filippine, residente a Roma. Una performance che indaga i gesti di cura e di pulizia delle lavoratrici e dei lavoratori domestici filippini in diaspora dal proprio paese. Tra le azioni annuali di Santarcangelo dei Teatri, la ricerca di Liryc Dela Cruz è parte del programma In Ex(ile) Lab dedicato al supporto di artiste e artisti in condizioni di esilio, finanziato da Creative Europe e di cui Santarcangelo dei Teatri è partner.

Il colonialismo, il capitalismo, la supremazia sui popoli sono questioni strettamente interconnesse alla questione ambientale. Bruno Freire, coreografo originario di Sao Paulo, sarà al Festival con un dittico, dispiegamento della sua personale ricerca sul “meraviglioso”. Life is not useful or It is what it is (6 e 7 luglio) prende le mosse dall’opera di Ailton Krenak, attivista nei movimenti indigeni, sociali e ambientali fin dagli anni Settanta. Matamatá (10 e 11 luglio) si ispira invece a Catatau di Paulo Leminski, uno dei poeti più amati in Brasile. In Matamatá si immaginano le reazioni che avrebbero potuto avere dei filosofi – come Cartesio o Spinoza – se avessero attraversato la foresta tropicale: confrontandosi con un altro paesaggio, caldo e brulicante di vita, avrebbero probabilmente rivisto le proprie teorie.

La questione ambientale è anche al centro del lavoro dell’artista polacca, con base a Berlino, Agata Siniarska, che colloca la sua pratica artistica nell’intersezione tra somatica e politica: la consapevolezza corporea incontra l’impegno sociale. In null&void (dal 12 al 14 luglio) racconta storie di distruzione di massa dalla prospettiva non antropocentrica della terra e del paesaggio, da voci animali e vegetali. Come collocarci in un paesaggio post bellico privo di esseri umani?

Agniete Lisickinaite, coreografa e attivista lituana, con Hands Up (dall’11 al 13 luglio) propone un’esperienza partecipativa che si colloca tra la performance e l’intervento politico, indagando il legame tra corpo e azioni di protesta. La danza viene vista come uno strumento di attivismo sociale, capace di provocare e di stimolare il dialogo, partendo dall’assunto che ogni protesta inizia e finisce con il corpo umano.

Il legame stretto tra il corpo e mondo è al centro di Someone Like Me della performer, regista e coreografa ucraina Nina Khyzhna (7 luglio). La sua ricerca rappresenta il viaggio di una creatura attraverso i corpi di individui che hanno affrontato il dolore, lo stress e la paura causati dalla guerra, a partire da una serie di interviste con persone ucraine diverse per professione, genere ed età.

Alterare il normale scorrere della vita grazie alla musica, al ritmo, al suono è un modo per distaccarsi dal tempo presente, per immaginare altri mondi possibili, per evadere dal reale e anche dal proprio stesso corpo. In GIMME A BREAK!!! l’artista svizzero Baptiste Cazaux (dal 9 all’11 luglio), prendendo in prestito il vocabolario della musica rave, delle pratiche meditative e dell’headbanging, prosegue nel suo percorso verso la pace emotiva e il distacco, che vede come strategie di sopravvivenza al capitalismo.

Il suono diventa battito e si trasforma in musica nel suo ripetersi ossessivamente: questo accade in HIT out (dal 5 al 7 luglio), una composizione musicale costruita intorno al salto della corda interpretato come strumento percussivo ritmico e coreografico e portato in scena nello spazio pubblico di Santarcangelo, in Piazza Ganganelli. Dopo un anno di preparazione atletica, Parini Secondo e Bienoise si focalizzano sul suono che la corda saltata produce, sviscerandone le possibilità timbriche.

Ritroviamo la stessa forza dominante del ritmo e della musica anche in Pas de deux dell’artista lituana, residente a Ginevra, Anna-Marija Adomaityte (dal 5 al 7 luglio). Il suo lavoro, che muove dal classico pas des deux, esplicitato nel titolo e simbolo di un danzare romanticamente eteronormato, racconta la possibilità di uscire dallo standard di genere, di ribellarsi all'immaginario normativo dell'amore e del corpo nella danza.

Il corpo come possibilità di espressione talvolta limitata e contraddittoria è al centro dello studio di diversi lavori ospitati al Festival. Catol Teixeira, a Santarcangelo Festival per il terzo anno consecutivo, con zona de derrama (dal 5 al 7 luglio) alza un’ode agli spazi liminali di transizione e trasmutazione. Qui la danza si manifesta come dolore e allo stesso tempo come celebrazione, in quanto avviene nell’attimo stesso della trasformazione e del cambiamento.

Stefania Tansini, premio UBU 2022 nella categoria “miglior performer under 35”, torna a Santarcangelo con L’ombelico dei limbi (11 e 12 luglio), una messa in scena pensata specificatamente per gli spazi del Festival, in cui il corpo e la voce sono testimonianza lucida dell’angoscia del reale. Un percorso contraddittorio che da una parte vede la volontà di liberarsi, di farsi pezzi, di tenersi fuori dal mondo, dall’altra il desiderio di ricostituzione e di condivisione del tormento del corpo. 

CrePa di Sara Sguotti e Arianna Ulian (12 e 13 luglio) è un montaggio di parole, suoni e gesti attorno all’immagine di una crepa, smottamento ma anche apertura, ferita eppure feritoia per corpi che si accostano, scivolano, attraversano un tempo di conservazione tra ciò che è definito vivo e ciò che è definito morto.

I limiti del corpo sono al centro della performance She Dreamt of Being Washed Away to the Coast di Lukas Karvelis (dall’11 al 13 luglio), artista lituano. Prendendo le mosse dalla mitologia baltica racconta l’amore del mare per un pescatore, la singolarità di un corpo nel suo scontrarsi con la fluidità dell'immaginazione.

Francisco Thiago Cavalcanti, artista di origini brasiliane selezionato dal programma annuale In Ex(ile) Lab, è al Festival con 52blue (dal 12 al 14 luglio), ancora una volta occupando lo spazio pubblico di Piazza Ganganelli. Lo spettacolo, attraverso la metafora di una balena inavvicinabile dalle sue simili a causa delle alte frequenze del suo canto, riflette sui rapporti umani, sulla necessità di vicinanza e sul dolore della propria solitudine di individui.


Samuli Laine, artista finlandese, porta la sua pratica artistica sul crinale tra cura del corpo e arte. Nurture (dal 6 al 14 luglio) è una performance one-to-one – per una sola persona alla volta – che apre uno spazio alla tenerezza e alla vulnerabilità. Indaga le politiche di genere e di convivenza attraverso l’atto del caregiving e dell’allattamento al seno.

Per tutte le informazioni sul Festival: https://www.santarcangelofestival.com/