© DiViMages/Didier Varrin

Sandro Penna! Chi era costui? Lo spettacolo «Le voyageur insomniaque (Sandro Penna)», in scena dal 25 al 30 gennaio 2022 al Théâtre 2.21 di Losanna, si propone di dare risposta a questa domanda. Il grande poeta italiano (Perugia 1906 - Roma 1977), apprezzato da Pier Paolo Pasolini e da Umberto Saba, tradotto in francese fra gli altri da Bernard Simeone, nel mondo francofono rimane ancora sconosciuto ai più. Da qui nasce la volontà di Pierre Lepori, poeta, romanziere, giornalista, traduttore e regista ticinese, di rendergli omaggio.

Un progetto a tutto tondo, il suo. Prima con la traduzione in francese, con testo originale a fronte, della raccolta Poesie / Poèmes (1973), appena pubblicata dalle Editions d’en bas. Poi con lo spettacolo, in cui Sandro Penna riprende vita sul palcoscenico nel corpo dell’eccellente attore romando Jean-Luc Borgeat e nella voce off di Pierre-Antoine Dubey. Infine, con un incontro il 26 gennaio tra il poeta Roberto Deidier (Università di Palermo), curatore di Penna. Poesie, prose e diari per Meridiani Mondadori, lo stesso Pierre Lepori e il professor Gianluigi Simonetti (Università di Losanna), per presentare Penna, il contesto in cui ha scritto, la sua fortuna critica e rendere attento il pubblico alle sfide della traduzione: come conservare in francese la densità, il ritmo e le rime degli endecasillabi di Penna senza rischiare di appesantirli?

La scoperta di Sandro Penna, come lui omosessuale, è una folgorazione per l’adolescente Pierre Lepori, cresciuto nel Ticino ancora provinciale e cattolico degli anni 80. Eppure l’amore per il poeta trascende il semplice processo di identificazione personale. I versi levigati di un omoerotismo mai volgare, permeati di grazia, di una strana gioia di vivere in bilico tra felicità e infelicità, delizia e croce, spesso ironici, influenzano in modo profondo il futuro scrittore. Ciò che più sembra colpirlo di Penna è il suo essere e dire altro:

«Felice chi è diverso / essendo egli diverso. / Ma guai a chi è diverso / essendo egli comune.»

In tal senso, la presenza dell’attore Jean-Luc Borgeat solo sul palcoscenico nell'ambito del festival «Seul(e) en scène» non appare una mera scelta di comodo all’epoca del Covid, ma l’unica possibile per evocare un uomo e un poeta così controcorrente.

Tuttavia, egli non fu un «fiore senza gambo visibile», secondo la definizione abusata di Bigongiari, ma un poeta radicato nella tradizione letteraria e nel suo tempo, che lesse da Petrarca e Leopardi a Pascoli e D’Annunzio e, nell’ambito francese, Proust e i simbolisti. È in quest’ottica – per inserire Penna nella durata, fra classico e contemporaneo, atemporale e attuale, assoluto e relativo – che interpreto la scelta di Pierre Lepori di aprire lo spettacolo con la voce di Carmelo Bene che recita nel buio «L’infinito» di Leopardi e di chiuderlo con «La storia siamo noi» di De Gregori (canzone del 1989 che il poeta non ebbe modo di conoscere). Si tratta di momenti chiave in cui il pubblico sente parlare italiano, in uno spettacolo per il resto quasi esclusivamente in lingua francese.

Per far conoscere Sandro Penna, Lepori decide di resuscitarlo e di svelarlo, rendendo visibili sul palcoscenico queste metafore. In effetti, il poeta defunto, completamente avvolto in un ampio velo grigio, si solleva dal letto-sepolcro della casa romana dove è rimasto rinchiuso per gli ultimi vent’anni della sua esistenza, smettendo di comporre.

Per tutto lo spettacolo, si ascoltano e si guardano nella penombra il poeta anziano in balia di un cocktail personale di psicofarmaci, le sue poesie, riflessioni tratte dai suoi diari, immagini di Cosa sono le nuvole di Pasolini, le musiche originali spesso graffianti di Marc Berman, benché a momenti il velo si squarci e una luce inattesa abbagli lo spettatore. Si ascolta e si guarda insomma l’autore dei versi «Io vivere vorrei addormentato / entro il dolce rumore della vita» e «Io non so più / se muoio oppure nasco». Nei suoi diari, Penna espresse ammirazione e profonda vicinanza per il poeta Hölderlin, finito preda della follia, mentre egli riteneva di esserle fino ad allora sfuggito. Non è l’impressione del pubblico. La follia, un altro tema caro allo scrittore Lepori. 

Obiettivo esplicito – e pienamente centrato – dello spettacolo è far scoprire un grandissimo poeta italiano, senza imprigionarlo nella ristretta cerchia degli autori omosessuali, far cogliere il complesso e l’ambiguo che si celano nei suoi versi in apparenza semplici, conservare il delicato equilibrio fra ombra e ironia leggera, collocarlo all’interno della costellazione dei suoi contemporanei. La scenografia spoglia fa risaltare una parola essenziale, che non ha bisogno di orpelli.

Mi sembra quindi coerente con il progetto artistico dello spettacolo lasciare l’ultima parola a Sandro Penna, con le due poesie che aprono e chiudono la raccolta Poesie / Poèmes (1973), abilmente tradotte da Pierre Lepori, con la complicità di Mathilde Vischer.

 

La vita… è ricordarsi di un risveglio

triste in un treno all’alba: aver veduto

fuori la luce incerta: aver sentito

nel corpo rotto la malinconia

vergine e aspra dell’aria pungente.

Ma ricordarsi la liberazione

improvvisa è più dolce: a me vicino

un marinaio giovane: l’azzurro

e il bianco della sua divisa, e fuori

un mare tutto fresco di colore.

La vie… est le souvenir d’un réveil triste

dans un train à l’aube: avoir vu, dehors,

la lumière qui tremble: avoir entendu

dans le corps brisé la mélancolie

vierge et âpre d’un air piquant.

Mais le souvenir de la libération

soudaine est encore plus doux, à mes côtés :

un jeune marin: le bleu, le blanc

de son uniforme et enfin, dehors,

une mer toute fraîche de couleur.

 

E poi come una mosca

impigliata nel miele…

Et puis comme une mouche

engluée dans du miel…

 

Le voyageur insomniaque (Sandro Penna)

con: Jean-Luc Borgeat, Pierre-Antoine Dubey

testo e regia: Pierre Lepori

assistente di regia: Eva Marzi

drammaturgia: Marion Rosselet

musica originale: Marc Berman

luci: Jean-Etienne Bettler

suono: Lionel Varrin

responsabile di scena: Eric Lazor