Gabriella Zalapì è una scrittrice e un’artista visiva, di origini inglesi, italiane e svizzere. Ilaria (Zoé) è il suo terzo libro (in lingua francese) e, a pochi mesi dall’uscita, è già premio Blù Jean-Marc Roberts 2024.
Dopo l’esordio con Antonia (Zoé) nel 2019, in cui Zalapì raccontava la storia di una giovane donna di 29 anni, sposa e mamma infelice negli anni ‘60 a Palermo, in un giornale intimo in cui si comprendeva il percorso intrapreso da questa donna alla ricerca della libertà e della felicità, lontano dal contesto rigido-borghese in cui fino a quel momento Antonia aveva vissuto, anche in Ilaria (Zoé 2024) l’universo famiglia viene messo a nudo dall’autrice e una giovanissima protagonista sarà costretta alla disobbedienza al padre per ritrovare, anche lei, la libertà perduta.
Ma facciamo un passo indietro.
Nell’ultimo libro dell’autrice, il personaggio principale è una bambina di 8 anni, Ilaria, che nelle prime pagine del testo si trova all’uscita della scuola a Ginevra. In attesa della sorella, Ilaria si è messa a testa in giù, poi si rialza e vede arrivare il padre Fulvio, di recente separato dalla moglie, per volere di lei. Fulvio convince Ilaria ad andare a pranzo in un posto molto amato dalla mamma e dove, le dice, anche lei verrà, ma, in verità, padre e figlia pranzeranno da soli e due ore di assenza diventeranno due anni di viaggio.
La prima tappa di questa fuga con la bambina, è Torino, dove l’uomo ha da poco preso domicilio, poi però, padre e figlia gireranno l’Italia, da Nord a Sud, tra osterie, motel, autogrill e stanze improvvisate.
Ilaria è una storia raccontata seguendo il punto di vista di una bambina di otto anni che viene rapita dal padre Fulvio, un uomo molto carismatico, a tratti amorevole e talvolta anche fantastico compagno di giochi, ma anche uomo ferito dalla recente separazione, e con problemi di alcool. Fulvio non sa ascoltare i bisogni di Ilaria, perché l’unico gesto che conta per lui è togliere la bambina alla madre, far soffrire la moglie, una donna nel testo praticamente assente, che esiste solo nelle innumerevoli telefonate che l’uomo le farà da ogni parte dell'Italia, senza preoccuparsi delle sofferenze inflitte alla bambina.
C’è tanta Italia in questo libro di Gabriella Zalapì, intanto proprio geograficamente parlando: da Nord a Sud, fino ad arrivare in Sicilia, dove la bambina godrà di qualche momento di pace nella casa di una nobildonna siciliana, lontana dal padre e dalla facoltosa nonna. Una Sicilia stranamente isola felice in cui la bambina si nutrirà dei frutti della terra e della compagnia dei contadini alle dipendenze della nobildonna. Forse è questa la parte più romanzata del libro - che racconta fatti autobiografici come ha ammesso la stessa autrice -, perché in questa parte del racconto il quotidiano e la realtà si trasfigurano in spazio immaginario per Ilaria. Ma c’è tanta Italia anche nella lingua utilizzata per scrivere questo testo, una lingua che è quella che Ilaria sente in continuazione durante la fuga, regione per regione, tanto da registrarne anche le forme dialettali. E c’è anche l’Italia degli anni ‘70, che Ilaria conoscerà grazie alla radio ascoltata in macchina con Fulvio. Questa voce è lo spazio della realtà e della normalità per la bambina, aspetti della vita che le sono stati tolti bruscamente dal padre, e il lettore, sempre attraverso la radio, sarà informato degli eventi più bui di quegli anni, detti di piombo, caratterizzati da innumerevoli attentati terroristici di estrema sinistra ed estrema destra, e dalla strage di Piazza Fontana.
E poi nel testo c’è ovviamente Ilaria, una bambina che all’inizio non capisce cosa le stia succedendo, perché padre e figlia debbano in continuazione partire e ripartire. E perché non possa vedere la mamma e l’amata sorella. Certo, poi Ilaria capirà.
La forza di questo testo, perfetta sceneggiatura per un film, è l’aver raccontato fatti terribilmente drammatici e di grande crudeltà psicologica dal punto di vista di una bambina, con il suo linguaggio e il suo pensiero, senza, per questo, che il racconto perda di profondità. La disobbedienza di Ilaria nasce per necessità, per fermare il gesto insano del padre e, sebbene sia l’unica persona che abbia vicino a sé, dalla necessità di liberarsi di lui, di ritrovare la sua libertà e soprattutto una normalità.
L’universo famiglia, che Zalapì analizza da sempre, anche nei suoi lavori di arte visiva, è un nucleo sofferente, oppressivo, malato, oltre che fulcro degli affetti più siceri e importanti nella storia dei protagonisti, come è normale che sia. Un universo da cui si è attirati e ingurgitati, tanto complesso da narrare nelle sue sfumature e forme, ma dal quale è necessario emanciparsi. L'autrice riesce a raccontare questa storia con un linguaggio neutro e pacato che amplifica il disagio e la sofferenza di Ilaria e lascia al lettore diverse possibili chiavi di lettura di questa fuga rocambolesca.
Gabriella Zalapì è nata nel 1972 a Milano. Si è formata alla Haute Ecole d’Art et de Design di Ginevra. Inglese, Italiana e Svizzera, è vissuta a Palermo, Ginevra e New York e ha soggiornato anche a Cuba e in India. Oggi vive a Parigi. Per le https://editionszoe.ch/ ha pubblicato Antonia (2019) Willbald (2022) e Ilaria (2024).