© Keystone / Anthony Anex

La scrittrice franco-coreana, da anni residente in Svizzera, a Porrentruy, nello Jura, ha esordito nel 2016 con un romanzo Inverno a Sokcho (Zoé) premiato nel 2021 con il National Book Award; tradotto in italiano da Giovanna Albonico, il libro è stato recentemente pubblicato da FinisTerrae. Un successo che non sorprende: i paesaggi sono descritti con precisione chirurgica e la lingua, concisa, disseziona le emozioni. Quello che si chiama talento.

A Sokcho, piccola cittadina vicino al confine con la Corea del Nord, una giovane ragazza franco-coreana, che non ha ancora visitato l’Europa, fa la conoscenza, nella pensione in cui lavora, di un autore di fumetti molto conosciuto in patria. L’uomo è arrivato in Corea del Sud dalla Normandia alla ricerca d’ispirazione per la sua nuova storia.

La trama del libro si dipana in un lasso di tempo di poche settimane e, quella che potrebbe essere in un primo momento, una storia non molto originale: un uomo maturo e relativamente famoso, una giovane ragazza che ha molta curiosità per lo straniero e l’improvviso desiderio di entrambi di conoscersi, si rivela essere invece solo il punto di partenza del racconto.

Intanto, mentre l’autrice narra il desiderio di incontrare l’altro e si attarda nella descrizione delle passeggiate vicino al porto, o delle gite in cerca di luoghi interessanti da far visitare allo straniero, durante il flusso di coscienza della protagonista, si insinua nella scrittura una descrizione di luoghi e di atmosfere che è perfetta, chirurgica. Il lettore sente il freddo, sente il vento, e vive dentro di sé la malinconia tipica dei piccoli borghi di pescatori spopolati d’inverno. Chi legge impara anche a conoscere un paese asiatico con abitudini diverse dalle nostre, grazie alla continua descrizione dei piccoli gesti quotidiani della protagonista, come la preparazione dei pasti per gli ospiti della pensione, un rito stilistico quasi ossessivo per la meticolosità e per la ricchezza dei particolari.

In Inverno a Sokcho non si enfatizza (solo) l’incontro uomo-donna e l’attrazione fisica e intellettuale che c’è nel gioco tra i due. O (solo) le attese per il successivo incontro. Ma soprattutto l’atto creativo. È infatti il gesto creativo del fumettista francese a incuriosire la giovane donna.

Dalla stanzetta in cui lei soggiorna, sente, di giorno come di notte, la mano dell’uomo che tratteggia i suoi personaggi sulla pagina bianca. Quell’incessante, e a volte convulso, atto creativo diviene il vero centro d’interesse della ragazza che, nella noia dell’inverno di Sokcho, e forse della sua vita più in generale, spera e sogna di essere la protagonista della nuova storia del francese. E immagina e sogna come potrebbe essere disegnata, ri-creata, dall’uomo. Immortalata, e per sempre.

Uno stile quello di Élisa Shua Dusapin, asciutto, nel quale non si abbonda, senza motivo, con le parole, anzi si scarnifica la frase, lasciando intatte le suggestioni, gli interrogativi esistenziali e soprattutto il disincanto, il distacco da tutto. E questo, come ho già detto, è il vero talento dell’autrice.

 

Di Élisa Shua Dusapin, FinisTerrae ha pubblicato nel 2021 Le biglie del Pachinko, con la traduzione di Vincenzo Barca.

Per Zoé è uscito recentemente in lingua francese Vladivostok circus